Riconoscere gli atleti con disabilità non solo attraverso la garanzia dell’accesso fisico agli impianti sportivi, ma anche attraverso una modifica dell’approccio mentale: essi vanno considerati atleti con pari diritti e opportunità.
In uno straordinario studio del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro , pubblicato qualche settimana fa, curato dal consigliere Vincenzo Falabella, anche coordinatore dell’Osservatorio CNEL sull’inclusione e l’accessibilità e da Maria Paola Monaco, docente all’Università di Firenze, è stato sottolineato che D.lgs. 62/2024, sulla riforma della disabilità e il D.lgs. 36/2021 di riforma dello sport possano trovare importanti sinergie su più livelli.
Nella misura in cui il D.lgs. 62/2024 mira a garantire una maggiore autonomia delle persone con disabilità, esaltando la possibilità di dare concretezza ai loro progetti attraverso una personalizzazione degli interventi, anche lo sport a buon ragione può rappresentare uno strumento di inclusione promuovendo esso stesso autodeterminazione e benessere.
Proprio questo nuovo quadro normativo potrebbe rafforzare tramite successivi aggiustamenti o interventi normativi quanto timidamente presente nella Riforma dello sport, favorendo un accesso più equo delle persone con disabilità alle attività sportive.
Pertanto, sebbene il contesto procedurale delineato dal decreto non preveda esplicitamente un legame tra disabilità e sport, questa dimensione può, come sopra evidenziato, integrarsi anche allo stato attuale sempre che, tuttavia, si realizzino alcune premesse fondamentali. Una premessa che non può prescindere da una visione condivisa dello sport tra enti pubblici, servizi sanitari, operatori sociali ed educativi, che ne riconosca il ruolo trasversale – educativo, riabilitativo, formativo e anche lavorativo.
A questa visione comune deve corrispondere poi una cabina di regia multidisciplinare, nella quale siano coinvolte fin dalle fasi iniziali altre figure come il medico specialista dello sport, al quale attribuire un ruolo fondamentale nella valutazione, nell’orientamento e nell’inserimento dell’attività sportiva nel progetto individuale di vita, oltre, a nostro avviso, il disability manager per il coordinamento tra le varie figure che partecipano alla valutazione.
Fondamentale è anche la disponibilità di strumenti operativi condivisi, come schede unificate, piani individualizzati che includano esplicitamente l’ambito sportivo, e momenti strutturati di verifica congiunta tra i diversi soggetti coinvolti.
A questi elementi, sottolineano gli autori dello studio, va affiancata una rete attiva con le realtà sportive inclusive presenti sul territorio, per garantire che l’inclusione attraverso lo sport non resti solo un’intenzione, ma si traduca in opportunità concrete. Al fine di raggiungere questo obiettivo si potrebbe procedere alla formalizzazione di protocolli d’intesa tra enti pubblici, aziende sanitarie e associazioni sportive, con l’obiettivo di definire ruoli, procedure operative e impegni reciproci.
Non si tratta dell’unica via possibile, ma di una buona pratica replicabile, che dimostra come, anche in assenza di un esplicito vincolo normativo, sia possibile costruire unire sport e disabilità attraverso i percorsi personalizzati previsti dal D.lgs. 62/2024. La combinazione dei due decreti, insomma, potrebbe risultare cruciale per innescare un cambiamento culturale e strutturale profondo ed aprire la strada a modelli sportivi più inclusivi e accessibili.
Il D.lgs. 62/2024, sottolinea l’importanza degli accomodamenti ragionevoli quale strumento atto a garantire la piena inclusione delle persone ed andando ad allargare i confini applicativi di un istituto che aveva visto la sua genesi nei contesti lavorativi sottolineando: “Nei casi in cui l’applicazione delle disposizioni di legge non garantisca alle persone con disabilità il godimento e l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, l’accomodamento ragionevole, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato”.
Questo principio ha implicazioni dirette anche per il mondo dello sport, sia a livello agonistico che amatoriale. Si offre alla riflessione critica l’idea che anche la mancanza di regolamenti inclusivi possa costituire una discriminazione indiretta, nella misura in cui impedisce agli atleti con disabilità di partecipare alle competizioni a parità di condizioni con gli altri.
Proprio questa disposizione del D.lgs. 62/2024 potrebbe essere interpretata estensivamente per affermare che anche nello sport esiste l’obbligo di garantire la partecipazione su base di uguaglianza. Rafforzando, quindi, quanto già previsto dall’art. 2 della l. 67/2006 che stabilisce che le persone con disabilità non possono essere discriminate nei diversi ambiti della vita sociale, incluso lo sport.
Questo porterebbe, ad esempio, a rivalutare i regolamenti che consentono di non tenere in considerazione le diverse situazioni. Certamente fermandosi ogni qual volta l’onere non sia proporzionato e le modifiche non sostenibili in considerazione del fatto che uno degli aspetti chiave degli accomodamenti ragionevoli dovrebbe essere proprio il bilanciamento tra le esigenze dell’atleta con disabilità e l’onere organizzativo e finanziario per le federazioni.
Se la creazione di una categoria separata per atleti senza protesi dovesse comportare costi eccessivi o un numero troppo ridotto di partecipanti, si potrebbe valutare un’alternativa che mantenga l’equità senza compromettere la sostenibilità delle competizioni.
I casi giudiziari in Italia e a livello internazionale mostrano che le discriminazioni nello sport non derivano solo da esclusioni dirette, ma spesso da regolamenti obsoleti o male applicati. Applicare il concetto di accomodamento ragionevole significa non solo modificare le regole, ma anche trasformare la cultura sportiva, affinché lo sport sia realmente accessibile a tutti.
Domenico Della Porta – Disability Manager