L’Università degli Studi di Salerno, primo Ateneo in Italia, nella realizzazione di screening per il personale dipendente.

Gli screening antitumorali avviati in Aziende pubbliche e private per il personale dipendente sono da considerarsi Accomodamenti Ragionevoli alla luce del D.Lgs.62/2024.

Con il progetto “UnisaInSalute”, avviato a marzo 2025 e realizzato dal Laboratorio di “Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di salute delle comunità” del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana”, l’Università di Salerno, che vede l’Ateneo coinvolto, primo in Italia, nella realizzazione di interventi di screening rivolti a tutto il personale, ha anticipato azioni concrete di promozione della salute mirando alla prevenzione di malattie croniche e tumorali.

Le attività, nate da un protocollo di intesa fra Università e ASL di Salerno, hanno la finalità di incrementare la consapevolezza e la cultura della prevenzione oltreché agevolare l’accesso agli screening all’interno dei luoghi di lavoro durante la normale giornata lavorativa.

Il cancro come altre malattie croniche, infatti, può essere causa di disabilità temporanee o permanenti più o meno gravi, ma caratterizzate da una condizione instabile, evolutiva in senso positivo o, in alcuni casi, ma ancora troppo spesso, negativo.

Potremmo definire le “disabilità oncologiche” come quegli stati di diminuita capacità psico-fisica che creano ostacoli al normale svolgimento delle attività quotidiane a causa degli esiti della patologia tumorale sui diversi organi e apparati o anche in senso sistemico, o a causa degli effetti collaterali delle terapie antineoplastiche i quali possono presentarsi a breve, medio e lungo termine.

Al malato e all’ex malato oncologico può essere riconosciuta una condizione di disabilità, più o meno grave o temporanea, nelle diverse accezioni giuridiche riconosciute dal nostro ordinamento: invalidità, inabilità, handicap, disabilità ai fini del collocamento obbligatorio, ma queste diverse definizioni sono spesso subite con sofferenza dalle persone malate di cancro che rifiutano l’etichetta della disabilità percepita come un marchio fonte di possibili discriminazioni.

Chi si ammala di cancro molto spesso è un “disabile invisibile” per timore dello stigma che affligge questa malattia e ciò è vero tanto più sul posto di lavoro. Vi è poi da dire che le diverse tutele normative previste dal vigente ordinamento per le persone con disabilità, non sono state pensate e scritte per le persone con malattie ad andamento eventualmente evolutivo come il cancro e questo fa sì che le relative tutele giuridiche non rispondano agli effettivi bisogni mutevoli nel tempo di queste persone.

Ecco il motivo per cui occorre divulgare anche da parte del Disability Manager un percorso di Accomodamento ragionevole che impone ai datori di lavoro di non discriminare le persone disabili e tra queste anche i malati di cancro.

Certamente, dal punto di vista dello snellimento delle procedure burocratiche, sarebbe preferibile un automatismo nel riconoscimento della disabilità (nelle diverse accezioni di invalidità e di handicap) conseguente alla diagnosi di malattia oncologica e questo non solo per semplificare l’accesso alla tutela antidiscriminatoria in ambito lavorativo ma, prima ancora di questo, per l’accesso ai diversi benefici giuridici ed economici riconosciuti dal nostro ordinamento ai malati oncologici.

Il passaggio, però, è complesso e richiede un’attenta e approfondita riflessione anche perché non esiste “il cancro” ma tanti “tipi di cancro” che si diversificano per gravità, effetti invalidanti temporanei o permanenti, possibilità di cura, guarigione o aggravamento nel medio e lungo periodo. Ed infine, non si può sottovalutare la ricaduta psicologica di un automatismo cancro=disabilità per la persona malata che spesso non si sente “disabile” né vuole sentirsi considerata tale.

I ragionevoli accomodamenti necessari ed auspicabili per i lavoratori malati di cancro possono essere molto diversi da quelli ormai entrati nella pratica comune per gli altri tipi di disabilità, dopo anni di non facili battaglie. Non si tratta, spesso, solamente di rimuovere barriere architettoniche o di dotare la postazione di lavoro di strumenti informatici in grado di supplire ad un deficit visivo o uditivo. Il lavoratore malato di cancro potrebbe aver bisogno di modulare i tempi di lavoro per conciliarli con quelli delle cure e delle visite mediche o diagnostiche, oppure anche per consentire tempi di recupero delle ridotte capacità psicofisiche, quantomeno durante le fasi acute di malattia, quando i trattamenti terapeutici sono più pesanti. Ma anche nelle fasi successive di cronicizzazione o di assenza di malattia, il lavoratore potrebbe soffrire di disturbi cognitivi che richiedono tempi di lavoro meno intensi o una maggiore flessibilità oraria o di luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.

In questi casi strumenti come il part-time, l’orario flessibile o il telelavoro possono essere considerati ragionevoli accomodamenti che soddisfano le esigenze del lavoratore come quelle del datore di lavoro. Le diverse tipologie tumorali e le loro conseguenze disabilitanti su chi ne è affetto richiedono risposte personalizzate anche in ambito lavorativo.

Gli ostacoli che si vengono a creare a causa del tumore del lavoratore dipendente, da difficoltà individuale rischiano di diventare crisi aziendale, ma possono essere superati con il dialogo e la comprensione nel reciproco rispetto.

È questa la via da percorrere per una reale inclusione sociale e lavorativa di chi lotta per vincere la vita dopo il cancro. I datori di lavoro possono impegnarsi per capire come gestire le diverse disabilità oncologiche sul luogo di lavoro, individuando le mansioni più idonee ed eventualmente adattandone le modalità di svolgimento alle specificità del singolo lavoratore, recuperando in tal modo professionalità che altrimenti potrebbero andare perdute.

Una fuoriuscita non necessaria né veramente voluta dal mondo produttivo genera costi altissimi umani ed economici per il singolo e per la collettività che sarebbe molto meglio evitare. L’inclusione ed il reinserimento lavorativo devono essere intesi non come costi ma come un vero e proprio investimento anche  perché la persona che si è dovuta confrontare con una malattia grave come il cancro e lo ha superato ha certamente una marcia in più nel saper affrontare e gestire grandi e piccole problematiche nella vita quotidiana e, quindi, anche in ambito lavorativo, costituisce una risorsa e non un peso per la società.

Domenico Della Porta – Disability Manager