Per evitare danni alla salute del lavoratore, il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare controlli preventivi e periodici almeno ogni due anni. Ancora prima di essere adibito a lavori notturni il lavoratore deve essere ritenuto idoneo da strutture sanitarie pubbliche o per il tramite del medico competente.
Anche se i lavori notturni sono caratterizzati da una rischiosità più bassa di quella delle attività a carattere industriale che si svolgono durante la mattina ed il pomeriggio, tra le persone esposte a questa condizione lavorativa c’è senza un maggior affaticamento dell’organismo, la desincronizzazione dei ritmi circadiani e limitazioni alla sfera privata di relazione e familiare del lavoratore. Le alterazioni del ciclo sonno/veglia hanno conseguenze sulla salute dell’individuo se protratte nel tempo.
Si sono osservati sia effetti nel breve periodo, come insonnia o eccessiva sonnolenza e sia nel lungo periodo, come malattie cardiovascolari, problemi a livello digestivo, stress, aumento di peso, alterazioni a livello riproduttivo, ecc.
E’ quanto viene ribadito in una recentissima pubblicazione di qualche settimana fa di INAIL “Gli infortuni sul lavoro in orario notturno in Italia”.
L’Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali, OSMOA, dell’Università degli Studi di Salerno, sottolinea un importante aspetto riportato nella pubblicazione INAIL: “L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato i turni di notte come probabili cancerogeni per l’essere umano (classe 2A) evidenziando associazioni positive tra il lavoro notturno e i tumori del seno, della prostata, del colon e del retto. Una recente fact sheet dell’Inail ha evidenziato possibili effetti sulla salute riproduttiva di donne e uomini.”
Occorre, innanzi tutto, fare qualche riflessione sulla probabilità di avere un infortunio a parità di lavoro e quindi di mansione svolta con la sola variante dell’ora solare: i lavoratori sono sottoposti allo stesso rischio? In realtà, un operaio che lavora ad una catena di montaggio svolge sostanzialmente le stesse mansioni sia in orario diurno che notturno. Di notte, però, potrebbe avere una perdita di concentrazione o di riflessi dovuta all’alterazione del ciclo sonno/veglia. Per un sanitario di reparto la routine notturna dovrebbe essere meno impegnativa che durante il giorno, perché i pazienti nelle ore della notte sono a riposo e necessitano di minori cure; ma gli stessi sanitari potrebbero fare un turno notturno preceduto da una mattinata sempre in corsia, per cui si potrebbe aggiungere la componente di affaticamento fisico dovuto al poco tempo di ripresa. Un autotrasportatore che percorre lunghi tratti, durante le ore notturne dovrebbe trovare strade meno
congestionate dal traffico, quindi avere meno incidenti stradali, ma anche in questo caso le luci soffuse della notte e le strade più libere potrebbero deconcentrare il guidatore.
Nelle attività del terziario trovano maggior spazio i lavori crepuscolari: vigilanza, ristorazione, pulizia di uffici e strutture varie, stampa di quotidiani, attività che possono essere più agevoli quando gli ambienti sono privi del servizio o di personale (per esempio lavori di manutenzione o sostituzione di macchinari); in generale occorre ricordare anche che i servizi sono caratterizzati da una rischiosità più bassa di quella delle attività a carattere industriale.
L’indice di rischio così determinato ha il limite di non poter valutare quantitativamente i livelli di stanchezza del lavoratore che si appresta a svolgere un lavoro notturno. Così come non distingue i diversi aspetti che possono concorrere al verificarsi dell’evento infortunistico: alcune attività notturne, sono svolte analogamente a quelle diurne, altre si caratterizzano come funzioni esclusivamente di controllo e presidio.
Il lavoro notturno è regolamentato dal d.lgs. 66/2003 in attuazione delle direttive comunitarie 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Il decreto chiarisce le definizioni di periodo notturno e di lavoratore notturno (art.1), detta le limitazioni allo svolgimento del lavoro notturno (art.11), impone controlli (almeno ogni due anni) preventivi e periodici adeguati al
rischio a cui il lavoratore è esposto (art.14), stabilisce l’assegnazione al lavoro diurno per inidoneità fisica (art.15).
Entrando nel dettaglio delle limitazioni, è stabilito il divieto di lavoro notturno tra le ore 24 e le 6 per le donne in gravidanza e fino al raggiungimento di un anno di età del figlio e, in generale, per i lavoratori dichiarati inidonei dalle strutture sanitarie competenti.
La lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre convivente di un figlio di età al di sotto dei tre anni o inferiore ai 12 se il genitore è unico affidatario non sono obbligati a svolgere lavoro notturno. La norma vale anche per uno dei due genitori affidatari o adottivi per i quali i 3 anni partono dal momento dell’ingresso
in famiglia (valendo sempre il limite superiore dei 12 anni). Non vi è obbligo al lavoro notturno se si ha a carico un soggetto disabile (legge 104/1992 e s.m.i.).
Il lavoro notturno è sempre vietato ai minori, come ha più volte evidenziato l’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni da lavoro minorile. Sono previste delle deroghe per coloro che hanno più di 16 anni, per casi di forza maggiore ed esclusivamente per il tempo strettamente necessario e in tutti i casi esplicitamente previsti dai contratti collettivi nazionali.
La normativa sul lavoro notturno non si applica per esempio ai dirigenti e ad altre tipologie di lavoratori che possono disporre autonomamente del proprio tempo di lavoro.